Secondo alcune stime, circa il 40% della popolazione europea, il 26% di quella americana e il 20% di quella orientale, sarebbe a rischio di carenza di vitamina D.
L’assunzione quotidiana di questa importantissima vitamina può avvenire prevalentemente da fonti animali come latte, uova, olio di fegato di merluzzo e salmone. Gli alimenti di origine vegetale non ne contengono, tranne alcuni funghi. La conversione da pro-vitamina D2 o D3 a vitamina D avviene esponendo la pelle alle radiazioni UV, che però possono anch’esse comportare rischi.
Da uno studio condotto dall’Istituto di scienze delle produzioni alimentari del Cnr, è nata una proposta per ridurre questo problema: una nuova linea di pomodoro in grado di accumulare in tutti gli stadi di maturazione pro-vitamina D3, ovvero il precursore assumibile della vitamina D.
Dai calcoli effettuati, il consumo di un paio di pomodori freschi al giorno di questa nuova linea potrebbe soddisfare in buona parte la dose giornaliera raccomandata di vitamina D.
Questi nuovi pomodori sono stati ottenuti grazie alle tecnologie di editing del genoma che si stanno imponendo in molti dei campi delle scienze, da quelle biomediche a quelle agroalimentari.