Oggi viene detto street food, ma c’è chi ama ancora chiamarlo “cibo da strada”, con parole italiane. Stiamo parlando del buon cibo di una volta, saporito e sostanzioso, fatto con ingredienti sani: insomma, il piacere della pancia che un tempo tutti potevano permettersi, qualsiasi fosse lo stipendio a fine mese.
Lui si chiama Giuseppe Zen ed è un cuoco che ha deciso di andare in controtendenza: mentre i suoi “colleghi” si danno da fare con ristoranti eleganti per riuscire a conquistare la stella Michelin, Giuseppe, che aveva un ristorante “classico”, ad un certo punto, insoddisfatto, ha deciso di abbassare la serranda e di iniziare a girare l’Italia per assaggiare tutti i cibi da strada più buoni, dal Trentino Alto Adige alla Calabria, passando per Sicilia e Sardegna.
“Sentivo che stavamo perdendo qualcosa di importante, cibi che sono un concentrato di cultura popolare e di tradizioni, fatti con materie prime buone e sane, preziose già da sole più di qualsiasi ingrediente “stellato” – racconta con entusiasmo il cuoco Giuseppe Zen -. Nel mio viaggio ho trovato piccoli produttori di formaggi e salumi, allevatori che avevano dedicato la vita a salvare razze di bestiame che stavano per estinguersi e contadini che coltivavano pomodori e melanzane con la stessa cura che si ha per i figli. Questi produttori sono gli eroi della nostra Italia e sono diventanti i miei “alleati” in cucina per riprodurre tutti i buonissimi cibi da strada che meritano di essere conosciuti anche dalle nuove generazioni”.
Tutto parte da una grandissima ricerca, viaggi costanti e rapporti diretti con i produttori. Nel suo ristorante – che si chiama Mangiari di strada – si possono trovare dagli arrosticini alla mozzarella in carrozza, dal panino con il lampredotto agli arancini di riso, dai pizzoccheri della Valtellina ai culurgionis de casu sardi, cioè pasta ripiena di ricotta e menta.
Questo luogo “di culto” per gli appassionati dello street food si trova in un posto alquanto particolare, cioè nella periferia di Milano, sperduto come una perla preziosa in via Lorenteggio, tra le fermate del tram e degli autobus, tra un fast food e una pompa di benzina. Eppure, basta varcare la soglia, per trovarsi in un locale in stile “nordico” con arredamento essenziale e ordinato, dove prevalgono marmo bianco e legno.
Dalle grandi vetrate, si può scorgere il giardino, colorato da teli sospesi e con al centro un grande camino con griglia per la cottura della carne alla brace. “La cucina popolare, se ben fatta, è perfetta così com’è e non c’è bisogno di fare aggiunte strane o “gourmet” – racconta Zen -. Nel nostro ristorante si trovano solo ingredienti biologici o biodinamici, come minimo. Riproduciamo i cibi non delle nostre nonne, ma delle nostre bisnonne. Oggi mangiamo sempre più spesso “arie, creme e cremine”, mentre qui da noi si possono trovare cibi sostanziosi e consistenti”.
“La carne è cotta sulla brace e la pasta impastata e tirata a mano, non abbiamo nemmeno la “macchinetta” che rende sottile la sfoglia, perché vogliamo che nella pasta resti impresso il lavoro e il calore delle mani – continua Zen -. Solo se trovi qualcosa di “vero” sotto i denti puoi entrare in contatto con il cibo e sentire i sapori…che bello poter tornare a masticare!”
Attenzione, proprio per consentire le preparazioni artigianali e la ricerca continua di prodotti tipici nei paesi più sperduti d’Italia, “Mangiari di strada” è aperto solo a pranzo, dal lunedì al sabato. Quindi, se avevate pensato di organizzare una cena con il vostro partner o con gli amici, dovrete abbandonare l’idea.
Il menù è lunghissimo e varia in continuazione. Consultando le lavagne e i fogli appesi alle pareti, potrete fare un incredibile viaggio culinario da nord a sud, tra i piatti che hanno fatto la storia popolare del nostro Paese.
Ci sono le panelle, di tradizione palermitana, sottili frittelle che di solito vengono mangiate all’interno di un panino. Giuseppe Zen mescola 250 grammi di farina ceci bio e 750 grammi di acqua, crea una purea che stende ad essiccare su formelle di marmo, e ottiene delle cialde sottili che frigge in olio extravergine di oliva.
E poi ci sono i culurgionis de casu della Sardegna, pasta ripiena di ricotta di pecora resa profumata da foglioline di menta, chiusi pazientemente “a lisca di pesce” dalle massaie sarde e tuffati nel sugo di pomodoro fresco al basilico.
Gli appassionati della carne non potranno perdere gli gnummareddi, saporiti involtini di interiora che si trovano dalla Puglia alla Calabria, le bombette di Alberobello, involtini di capocollo di maiale con all’interno un pezzettino di caciocavallo e gli arrosticini, spiedini di carne di pecora tipici della cucina abruzzese. Se amate i brasati, provate quello di vacca Varzese, una razza antica che ha pascolato libera tra le erbe di campo per 10 anni: immaginate quanto possa essere saporita la sua carne e, grazie alla lunga cottura, diventa così morbida e succulenta che si può tagliare e mangiare anche solo con il cucchiaio.
In questo ristorante si trovano piatti che riportano all’infanzia e che, se fatti come si deve, regalano le emozioni più belle proprio perché, al primo assaggio, riaccendono la scintilla dei ricordi, dei pranzi della domenica e dal rumore del sugo che sobbolle dalla porta socchiusa della cucina. Una piadina romagnola calda appena cotta sarà il migliore accompagnamento per un salame di qualità.
E così Giuseppe Zen non ha paura di mettere tra le proposte del giorno le polpette, fatte con la carne macinata al momento e la mollica del pane preparato con farine biologiche macinate a pietra e lievito madre, cotte nella passata di pomodoro e accompagnate da un purè di patate, denso e cremoso, che vorresti mangiare a cucchiaiate direttamente dalla padella. Gli appassionati dei “cibi della domenica” possono farsi tentare da una bella porzione di Parmigiana: “Le melanzane vengono fritte in padella a una a una, come si fa a casa – spiega Zen – e l’olio viene buttato dopo una o due fritture. Il tocco segreto è un po’ di cioccolato fondente di Marco Colzani, come vuole la ricetta più antica: non lo sentirete al palato, ma dà un gusto molto particolare”.
I dolci non sono certo da meno. Ci sono le piccole frolle con la crema al cacao e nocciole oppure con la crema pasticcera e le pesche leggermente caramellate in forno.
Si può trovare anche lo zuccotto, dolce tipico toscano: si tratta di una “cupola” di pan di Spagna ripiena di morbida crema di ricotta di capra, ciliegie spadellate e scaglie di cioccolato.
D’estate il gelato viene preparato al momento e ogni giorno c’è un gusto diverso: crema, albicocche, fragola, cioccolato, pesche e menta e altre mille variante a seconda della creatività e dell’estro del momento, ma, soprattutto, degli ingredienti freschi a disposizione.
Tra le specialità da provare c’è il Caffè in forchetta, tipico dell’Appennino Tosco-Emiliano, un creme caramel fatto lasciando in infusione nel latte la polvere di caffè e poi facendo cuore il composto a bagnomaria nel forno.
Fate un salto per un assaggio e diventerete sicuramente clienti fissi perché, come dice Giuseppe Zen: “Quando erudisci il tuo palato a mangiare il buono, poi non puoi farne più a meno”.